Senigallia e il Sud America. Questa è la storia di Rossella Petrolati, senigalliese di 35 anni, che 5 anni fa ha deciso andare ad insegnare filosofia e storia in una scuola paritaria a Montevideo. Ha colto la sua occasione, sta costruendo la sua nuova casa ed il suo futuro in America latina.
“Mi chiedono ‘y porque te viniste in Uruguay?’ e io rispondo sempre che è stato l’Uruguay a scegliere me”
“Spesso siamo bloccati – racconta la professoressa – perché pensiamo di non avere le risorse che, invece, abbiamo e che aspettano solo l’occasione giusta per venire fuori”
Cosa facevi prima di decidere di partire?
Vivevo a Bologna, ero incaricata in una piccola biblioteca e mi occupavo di organizzare corsi di formazione brevi su tematiche legate allo sviluppo sostenibile.
E quando hai deciso di dare un taglio a tutto e aprire le porta a una nuova esperienza?
L’assenza di prospettive di crescita all’interno dell’organismo in cui lavoravo e la delusione risultata dai tentativi di trovare un altro lavoro.
Quando si è concretizzata la proposta di un contratto di un anno nella scuola di Montevideo, ho deciso rapidamente.
Come sei riuscita a trovare lavoro all’estero?
Con la perseveranza! Provando varie strade, mandando curriculum in inglese alle Ong e poi in italiano agli Uffici scuola dei Consolati. Ho iniziato a cercare prima nel settore internazionale nel quale lavoravo in Italia, ma poi mi sono resa conto che il mio curriculum era troppo scarno per quel settore, cosi ho iniziato ad allargare il raggio delle possibilità approdando a un lavoro di insegnamento, un classico!
Raccontaci in due parole le emozioni dell’attimo esatto in cui l’areo è decollato.
Ho provato sollievo e adrenalina.
Non ti ho chiesto da quanto tempo sei in Sud America, e lo faccio ora.
Vivo in Uruguay dal 2010.
Beh, sono alcuni anni ormai… Toglimi una curiosità, perché hai scelto questa meta?
Come ti dicevo, non sono io ad aver scelto! Quando mi è arrivata la proposta di lavoro, sono andata a cercare questo paese sull’Atlante, non sapevo dove esattamente dove fosse, con quali paesi confinasse, non conoscevo bene l’America Latina.
Sei partita da Bologna, sei arrivata a Montevideo. Ma sei marchigiana…
Sì, di Borgo Catena, Senigallia, due file di case relativamente nuove di circa un chilometro che costeggiano una strada provinciale, alle spalle la campagna marchigiana, a tre chilometri la spiaggia di velluto.
La tua casa e il tuo futuro sono all’estero o pensi di tornare e rimanere in Italia?
Non lo so, il futuro è ora, è il presente che mi accompagna nella quotidianità, il futuro sono le decisioni che prendo giorno per giorno.
Se tornassi indietro, rifaresti la scelta di partire?
Non è possibile tornare indietro, mai. Le esperienze ci trasformano.
Che aspetto ti ha colpito maggiormente quando sei arrivata in Uruguay?
La quasi ossessione per gli italiani. Ignoravo il profondo legame culturale che c’è tra l’Uruguay e l’Italia. Quando io andavo a scuola il tema emigrazione era praticamente inesistente.
Il 40% della popolazione ha origini italiane, significa che hanno cognomi e a volte anche nomi Italiani e la cittadinanza trasmessa legalmente. Tra i piatti tradizionali ci sono i ravioli, le lasagne, le tagliatelle al ragù, e ad ogni angolo vendono la “torta fritta” gemella dello gnocco fritto modenese.
Così all’inizio, visto che il mio accento era inconfondibile, dal tassista al panettiere alla signora alla fermata dell’autobus, quando si rendevano conto che ero italiana iniziavano a parlarmi del paesino sperduto della Liguria o della Campania o di chissà dove, di cui il bisnonno o trisnonno era originario.
E la cosa più curiosa?
Il legame dell’uruguayano popolare con la sua “reposera“. Trattasi di sedia a sdraio pieghevole e leggera, di facile trasporto, spesso presente nei bagagliai, per qualsiasi evenienza.
Uno dei passatempi preferiti è quello di sedersi con le reposeras accanto alla porta di casa, non importa se questo significa occupare metà marciapiede e avere il naso a mezzo metro dal traffico.
La reposera accompagna il suo padrone in spiaggia, anche quando affronta viaggi di un’ora in autobus per arrivarci. Se c’è uno spettacolo in piazza, tutti seduti ovviamente!!
A cosa hai fatto più fatica ad abituarti?
Forse quella a cui non mi abituerò mai: vietato alzare la voce. Noi italiani non siamo certo abituati alla discrezione, e spesso non ce ne rendiamo conto. E’ normale alzare la voce, sia quando siamo arrabbiati sia quando siamo gioiosi. Qui le persone parlano sempre in toni pacati e cortesi, anche per dirti la peggiore delle cose. Il nostro “scaldarci” nelle discussioni è sgradito, provoca chiusura, smettono di ascoltarti anche se stai dicendo la più grande delle verità.
Alzare la voce è un’inaccettabile mancanza di rispetto che può arrivare a provocare la reazione di alzarsi e andarsene, segno di grandissima offesa.
Uruguay o Italia, dove si guadagna di più in rapporto al costo della vita?
Non credo che il punto sia il guadagno. Io questo lavoro in Italia non avevo la possibilità di iniziarlo, o almeno non così, cioè con un contratto di un anno a cui ha immediatamente fatto seguito quello a tempo indeterminato.
Il precariato dei giovani insegnanti in Italia è noto, il pellegrinaggio delle supplenze ecc… Il paragone forse e’ addirittura inopportuno. Anche in Italia gli stipendi di chi entra in servizio sono standard, ma se vivi a Milano o a Lecce il tuo potere d’acquisto è sensibilmente diverso.
Diciamo che qui riesco a risparmiare circa il 20% del mio stipendio e potrei permettermi un viaggio all’anno in Italia o di mantenere una macchina per esempio. Certo non posso mettermi su un treno e andare a Roma a vedere una mostra o comprarmi un biglietto Ryan Air per passare il fine settimana a Berlino. Come dicevo il punto della questione non è il guadagno, bisogna piuttosto ragionare in termini di opportunità.
Se penso più in generale al paese c’è un grande scarto tra gli stipendi minimi, decisamente bassi, cassiera di supermercato, signore delle pulizie, camerieri, ecc.. e gli stipendi che percepiscono gli impiegati pubblici o gli alti quadri di imprese multinazionali.
Questo è un po’ la situazione comune dei paesi latinoamericani, salvando le differenze, poveri molto poveri e ricchi molto ricchi, la classe media si ammazza di lavoro, multiempleo, per essere tale, sacrificando il tempo libero.
In Uruguay è difficile affittare una casa?
Montevideo, nonostante sia una capitale, è molto provinciale, questo significa che anche se ci sono varie università, pubbliche e private, non c’è la classica dinamica degli appartamenti condivisi tra giovani che non si conoscono. Esistono gli appartamenti condivisi, ma solo tra amici o amici d’amici; appena si arriva difficilmente si riesce a farsi un giro di amicizie di gente locale per accedere all’appartamento condiviso dai locali.
Inoltre qui normalmente gli appartamenti in affitto non sono arredati, quindi per uno straniero, che magari si ferma solo pochi mesi, la difficoltà aumenta. Non c’è davvero nulla negli appartamenti non arredati, neanche la tavoletta del water e lo scaldabagno!
Così c’è il mercato delle case per stranieri, cioè case già arredate, dove è possibile affittare una singola anche per pochi mesi (l’abitudine delle stanze doppie è assente), i cui prezzi sono a volte folli, per avere un’idea: una singola in un appartamento condiviso dai locali può costare 140 euro, una singola per stranieri viaggia sui 250-300. L’alternativa a questo sono gli ostelli, che offrono stanze singole e fanno sconti per periodi lunghi.
Se si resta un periodo lungo e si vuole affittare un appartamento, normalmente come garanzia non chiedono tre mesi d’affitto, ma un contratto con un’agenzia di garanzia. Ce ne sono varie, funzionano così: si paga l’affitto e una quota mensile all’agenzia, funziona come un’assicurazione, che garantisce il proprietario se l’inquilino non paga. Queste agenzie chiedono un certo livello di stipendio per attivare il contratto.
E per acquistare casa?
Per comprare, invece, è più semplice, basta avere un capitale. Non ci sono restrizioni per stranieri, e i prezzi sono accessibili.
E’ facile fare amicizia? Com’è Montevideo, e l’Uruguay, dal punto di vista dei rapporti personali e delle relazioni?
Le persone qui sono molto gentili, molto disponibili, ad un primo contatto. Poi per approfondire la relazione è un’altra storia.
Una volta mi hanno detto “noi uruguayani siamo come le cipolle, abbiamo molti strati”, mi è rimasta in mente questa definizione perché è davvero rappresentativa. Lentamente si possono conoscere e conquistare e farsi conquistare.
Credo che abbiano un’idea dei vincoli molto forte, ma riconoscono quelli familiari i più importanti, quelli del contesto in cui sono cresciuti, credo che venga dal fatto che sono poco abituati a mescolarsi. Per esempio è molto comune che “da grandi” si mantenga il giro della scuola, allargato certo, ma diciamo che rimane un riferimento. C’è da dire che qui ci sono tantissime scuole private, e quelli che se lo possono permettere mandano i propri figli ad uno di questi collegi, che in qualche modo poi ti identifica anche da grande. Poi certo all’università pubblica ci si mescola, meno nelle private, dove si ritrovano le stesse famiglie delle scuole private di provenienza.
La società uruguayana è il risultato dell’immigrazione, la sua composizione è multietnica, italiani, spagnoli, francesi, inglesi, africani, indigeni, ma l’uruguayano vede lo straniero come altro rispetto a se. Quindi poi nella quotidianità ci si conquista il proprio spazio nella società in base a ciò che fa, però diciamo che rimane, nei momenti magari di frizione, il pregiudizio verso lo straniero. Almeno io spesso ho questa sensazione.
La conoscenza delle lingue facilita l’inserimento? Penso ovviamente allo spagnolo, in questo caso, ma anche all’inglese.
Credo che dipenda dal lavoro che si vuol fare. Nella quotidianità direi no: anche non conoscendo lo spagnolo, in italiano ci si può far capire. Per lavorare potrebbe facilitare, ma deve essere una ottima conoscenza, non superficiale. Sicuramente per lavorare nell’import export è fondamentale, o per l’insegnamento, sia per le imprese che in istituti privati o altri progetti. Diciamo che un professore d’inglese difficilmente rimane senza lavoro.
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Come sono i tuoi nuovi concittadini?
Attivi: attenti alle politiche, pronti a scendere in piazza, organizzare campagne di sensibilizzazione, referendum. Tranquilli, difficilmente alzano la voce o si arrabbiano.
Lenti, si sconsiglia di avere fretta, sempre! Al bar, alla stazione, al supermercato. Saggi, niente sconvolge i loro ritmi, il cliente non ha sempre ragione, se qualcosa non ti va bene o hai fretta, vai da qualcun’altro.
Pigri: “nadie se va a dar cuenta”, nessuno se ne accorgerà, “atados con alambre”, legato con fil di ferro, sono frasi tipiche….per indicare un lavoro non finito, o fatto in modo precario perchè possa funzionare lì per lì e poi si vedrà!
Obliqui, difficilmente ti dicono apertamente una critica, ci girano attorno, fanno allusioni.
Consiglieresti ad altri giovani di fare la tua stessa esperienza?
Io credo che i viaggi siano formativi in ogni caso, aprono la mente, lunghi o corti che siano, qualcosa ci portiamo a casa. Quindi direi sì.
Il mio consiglio è di abbandonare la pigrizia o la paura che spesso ci blocca, viaggiare è come aprire una porta, c’è sempre qualcos’altro di interessante fuori e dentro di noi, che mettiamo in gioco.
E poi davvero oggi con Facebook, WhatsApp, Skype la vita di chi parte è davvero molto più facile rispetto alla gestione delle relazioni e della nostalgia! E un volo di ritorno, se ce la vediamo brutta, è sempre acquistabile.
Segui cosa accade nella tua città, Senigallia spiaggia di velluto? E come? Con quali strumenti?
In linea di massima ammetto che no, non leggo quasi mai nulla su Senigallia. Certo, alcune notizie mi arrivano dalla mia famiglia o dagli amici, a voce o per le cose che pubblicano su facebook. Mi mantengo informata sull’Italia, ascolto Radio Popolare on line, più sporadicamente leggo le pagine web dell’Internazionale, la Repubblica, il Corriere della Sera.
Dove vorresti che crescessero i tuoi figli? Senigallia o Montevideo? Bologna o chissà…?
In un mondo migliore! Frase banale, lo so. Giusto pochi giorni fa leggevo un’intervista a Galimberti che affermava che la nostra società non dovrebbe fare figli, perchè i genitori devono lavorare e quindi non possono accompagnare la crescita dei figli nei primi tre anni della loro vita, momento in cui si costruisce la mappa emotiva. Persone con la mappa emotiva frammentata sono adulti psicotici, che a momenti non sono capaci di sentire la differenza tra bene e male. Galimberti arriva a questa conclusione, estrema ma sincera, affermando che non tutto è rimediabile.
E tu sei d’accordo?
Anni fa sognavo con dei bambini che potessero correre scalzi sull’erba. Oggi non ho figli, ma mi sono comprata un ettaro di terra e sto costruendo col mio compagno una casa in legno. Una cosa ce l’ho chiara, non importa dove stai, importa chi sei, quindi nel caso dei figli, credo sia importante potergli garantire prima di tutto la nostra presenza, un luogo silenzioso e spazi aperti.
Nonostante i sistemi educativi dei nostri paesi partano dalla base di offrire pari opportunità ai cittadini sappiamo che non è affatto così, milioni di studi lo dimostrano. La famiglia e l’educazione ricevuta in famiglia continua ad essere al 90% un fattore determinante per l’adulto del futuro.
Pensi di tornare in Italia e eventualmente quando?
In vacanza.
Quando pensi a Senigallia cosa ti viene in mente?
La spiaggia deserta in primavera o in inverno.
E dei senigalliesi?
Si lamentano ma non sono disposti a mettere in discussione il proprio stile di vita per migliorare le cose, ma hanno la capacità di morire d’inverno e rinascere ogni primavera.
Giovanna Omiccioli
© Riproduzione Riservata
PHOTO STORY Album Flickr: immagini dall’Uruguay di Rossella Petrolati


































Cara Rossella, che dire, tanta stima e buona fortuna, la meriti, un abbraccio.
Che bello Ross… commovente la tua intervista.
Marcella